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Et in AnarKadia Ego: un video per Arthur Rimbaud

 

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StreET sTuds And SpIke HaiR
Number 3
Grafica di Rottenpunk

Tremate, tremate, i punk son tornati!
Nella comunicazione patinata di oggi, pieno 2007, quando qualsiasi editore lecca i piedi ai lettori con ogni mezzo, gadget, seni e culi, oroscopi, facilitazioni della lettura, ecc., ecco che irrompe nel panorama delle riviste (non in edicola ma in distribuzione sottoscritta - stat rosa pristina nomine, nomina nuda tenemus ), la nuova fanzine dei punk salernitani, arrivata al terzo numero in forma maggiorata.

StreET sTuds And SpIke HaiR - Number 3Un vero pugno nell'occhio impigrito del lettore tipico e rimbecillito. Contenuti, tanti contenuti, e la forma? Una vera sfida per questi “stronzoni” di lettori, abituati alla grafica accattivante e di facile lettura, quella grafica obbediente alle regole della usability, della leggibilità prima di tutto.

C'è il ritorno della fotocopia, del Courier (dai bordi imprecisi della riproduzione), affiancato, credo casualmente, al Times New Roman, ma soprattutto del menabò ottenuto con il collage: ogni singola linea di testo è ritagliata e incollata sulle foto, gira intorno alle figure con un percorso non certo facile per lo “stronzone” di lettore. Lo scontorno è fatto con le forbici, il fotoritocco con colla e pezzi di carta. Alla faccia del computer più potente e del grafico più aggiornato.

È bandita la lettura distratta: ci vuole impegno e militanza!

Tutto su bianco e nero, naturalmente, con grana grossa, striature, bordi macchiati. Anche la numerazione delle pagine rompe la regola pari a sinistra – dispari a destra : la rivista inizia con pagina non numerata, come pure la seconda di copertina, seguono la pagina due a destra e così via fino alla 18, con quarta di copertina non numerata.

I numeri sono scritti a mano (vedi “Tantititani”, Oédipus ed. 1995, i cui numeri di pagina sono disegnati da Sergio Vecchio con una “scrittura d'artista”).

Vabbene anche la linea di testo cancellata col pennarello. Cos'è, non ti stà bene, lettore del cazzo? Mica te l'ha ordinato il medico di leggere StreET sTuds And SpIke HaiR? Se non ce la fai a reggere questi livelli estetici girati dall'altra parte, fai finta che non esiste.

La fanzine è fatta a Salerno ma potrebbe benissimo essere di Bologna o Torino.

Certo, dicono che il sindaco di questa piccola città del Sud già si lamenta delle creste drizzate sul lungomare. Ricordate un sindaco di Roma che a suo tempo fece cancellare i murales di Keith Haring?

Momenti 1992Ma, a proposito dell'attuale sindaco di Salerno, all'inizio del suo precedente mandato, un manifesto per un concerto (Momenti) svoltosi a Salerno nel 1992, sotto la sponsorizzazione comunale e della Centrale del latte, ritraeva proprio un punk, disegnato con tanto di cresta drizzata e bomboletta in mano, sorpreso a riprodurre sul muro la “Vergine delle rocce”. Il manifesto era realizzato con un collage. Collage come alcuni lavori di Gelsomino D'Ambrosio, il collage delle lezioni di Franco Canale ai corsi di grafica alla SDOA di Vietri sul mare, il collage di tante opere d'arte o dei cartoni animati, il collage delle nostre creazioni infantili.

E allora ben venga il ritorno della grafica punk, libera e cruda nel ricordarci orrori e contraddizioni della società dei consumi. Scioccante nei negozi di musica degli edonistici anni ‘80 fu la mano rachitica di un bambino africano sulla copertina di una raccolta dei Dead Kennedys, o il punk impiccato tra cadaveri di altri punk, sotto lo sguardo compiaciuto della Tacher, riprodotti sulla copertina di una delle raccolte Punk and disordely (il cui vinile era in tinteggiatura mimetica). Ma pregevoli erano anche i collage colorati dei Sex Pistols o le barocche copertine di Siouxie and the Banshees. I butleg derivanti da registrazioni di fortuna ai concerti sono dei capolavori.

C'è chi parla di Pollok, nel collocare la grafica punk, chi di Rank Xerox. Di sicuro parte dalla scarsezza di mezzi e dall'invertarsi soluzioni originali, strettamente integrata con la materialità della riproduzione. L'esiguità della tiratura ha prodotto oggetti quasi unici: copertine di dischi con fotocopie incollate sul cartoncino, fogli di audiocassette a volte dipinti singolarmente, e così via.

La fanzine è l'espressione più potente di questa forma comunicativa, quando la creatività grafica si unisce alla parola scritta in forma fabulatoria, e basta. Niente studi di marketing, niente direttori, registrazioni, uffici, niente soldi. Solo la voglia di esprimere il proprio pensiero, con un apporto personalissimo. I limiti della costruzione fabulatoria sono oltrepassati continuamente, una vera sfida per le abitudini di lettura. La sfida vinta a suo tempo da ZANG TUMB TUMB. Frammenti d'immagine che costruiscono senso, frammenti d'immagine anche quando la parola si fa immagine. Frammenti d'immagine con il linguaggio del fumetto, non della vignetta sequenziale, ma della lettura della tavola che racchiude diversi percorsi di lettura. Mi vengono in mente i fumetti Marvel di Stan Lee oppure Sergio Toppi, ma soprattutto il grande Andrea Pazienza. E se vogliamo, frammenti che riportano più all'immagine in movimento o esigono il movimentano dell'occhio, come esperimenti visivi di natura multimediale, contaminata, ovvero “oggetti mediali”(“Frammenti d'immagine”, Alfonso Amendola, Liguori ed., Napoli 2006).

Bisogna prima scoprire da quale punto partire, se c'è: iniziamo a leggere le linee di testo, disturbati continuamente dal loro andamento; sulle immagini ci si ferma a lungo, specie quando la grana è talmente grossa che i particolari scompaiono del tutto; possiamo anche scoprire che un'insieme di punti formano delle parole, magari continuano in altre pagine. Se scomponiamo la fanzine diventa un unico collage, un unico frammento.

Questi “frammenti” sono il prodotto delle escrescenze culturali di questa società, rivoli creativi riottosi verso la cultura dominante, incoercibili negli argini imposti dagli interessi del commercio dei grandi numeri.

Naturalmente entrano in discussione anche le questioni legate ai diritti d'autore, e di conseguenza, le enormi ricchezze implicate.

Ma questa è un'altra storia.

Meditate “stronzoni”, meditate, io me ne torno ad ascoltare i Bauhaus e i Drunken Army.

Alfredo De Sia, grafico, insegnante di grafica, contadino.

Sicignano degli Alburni, Italy, 4 giugno 2007

 

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Serre, valle della Masseria.
50 camion pieni.

50 camion pieni e fermi in attesa. Inizio a contarli poi la rabbia mi fa perdere il conto. La puzza mi ottenebra il cervello, cosa posso dire? Cosa si può più dire?

I corpi che li guidano grondano grasso, birra, parole. Quello slang che adesso solo a sentirlo evoca puzza di rancido e sporcizia. Non più Palazzo Reale, non più il Duomo, non più Castel dell'Ovo o il Maschio Angioino, ma puzza di rancido e sporcizia. Il mare, il sole, l'ammore, Posillipo, tutto seppellito da cumuli d'immondizia.

Non basta più casa loro, hanno riempito e violentato tutto il loro territorio, adesso passano alle terre vicine, come le cavallette , come un'invasione terirficante, priva di senso, “ dotto', e cche ce putimmo fa'? nui tiramm 'a campa' ”. Giù la birra, già sorgono pronti i chioschetti con tanto di ombrellone e radio a squarciagola su un neomelodico sconosciutissimo.

Come le cucine da campo e i bordelli seguono i militari, chioschetti e neomelodici a squarciagola seguono i TIR dell'immondizia e del fetore nei loro viaggi maledetti.

Cerco di imprimermi bene nella mente il ricordo di queste terre da sogno, percorse da aironi, falchi, cicogne, tassi, faine, ricci, rane, mucche, pecore e contadini.

Penso al falco che sento ogni mattina quando mi alzo, che vedo calare in picchiata tra le fronde e riemergere col banchetto artigliato. Al riccio con figlio che gironzola tra le radici degli olivi.

Cerco di non dimenticare, cerco di non piangere.

Fermo l'auto. La rabbia mi riempie sempre di più.

Aspetterò il momento che il miserabile incravattato di turno venga a elemosinare quel voto del cazzo per il parente da piazzare in qualche commissione, voglio vomitargli addosso tutta la mia rabbia.

Immagino di percuoterlo con mille bastoni, di immergerlo con la testa in quell'immondizia che lui continua a non vedere, chiuso nel suo enorme monovolume dai vetri oscuri, immerso nell'aria fresca artificiale.

E il prezzo del il suo benessere lo paghiamo noi.

Iniziamo con il fastidio di serrare i finestrini e finiamo a vegliare i nostri cari mentre il male li consuma. Il male che segue il viaggio di questi camion maledetti, di questi chioschi grondanti slang e neomelodici, il male del secolo, il male da cui in queste terre non si guarisce.

Stanno distruggendo il mio paradiso, il mio stupore nel vedere tante giovani volpi che attraversano il mio cammino, le ali eleganti che attirano il mio sguardo verso l'alto, gli occhietti scuri e curiosi di pallottole di aculei che ballonzolano tra l'erba, l'erba verde e pulita, il mio orizzonte, la mia speranza.

 

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